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Joyeaux anniversaire gilets jaune! Il movimento giallo ha ancora da insegnare all’ecologia politica.

Sono passati tre anni da quando, il 17 novembre 2018, le strade di varie città francesi hanno visto sfilare per la prima volta un corteo di manifestanti uniti dal simbolo di un gilet catarifrangente, simbolo proletario, l’indumento di ciascun automobilista. Sono passati tre anni dalla nascita del movimento dei Gilets Jaune, uno dei movimenti più duraturi, radicali, innovativi, imprevedibili del nostro secolo. Un movimento che, con larga autonomia dalle strutture politiche e sindacali della sinistra, è nato per una lotta strettamente particolare ma ha saputo produrre nel corso della sua vita un punto di vista politico generale, tirando i fili di molte delle questioni cruciali del nostro tempo. Tra di queste, anche la questione ambientale. Nel bel mezzo di una transizione ecologica liberista, ci sembra importante provare a ritornare su un movimento che riteniamo abbia saputo produrre con estrema chiarezza e inventiva un punto di vista di classe e antagonista sulla questione della crisi ecologica.

In questo senso, è fondamentale ricordare la miccia che ha innescato l’incendio GJ (senza scadere in atteggiamenti riduzionistici incapaci di cogliere la complessità dello sviluppo del movimento): il forte rialzo della Tassa interna di consumo sui prodotti energetici (TICPE) voluto dal governo Macron. La tassa è stata introdotta in Francia nel 1928, ma è cresciuta fortemente a partire dallo shock petrolifero del 1973. Da allora ad oggi è in costante aumento, e negli ultimi anni è stata inserita nella strategia di controllo delle emissioni, venendo definita un’ecotassa e divenendo un punto dell’agenda di partiti come Europe Écologie les Verts. Questo fino al 2018.

L’ennesimo rialzo della tassa ha generato un montante sentimento di rabbia in larghe fasce delle classi medio-basse, soprattutto nelle zone periferiche del paese. Essendo una tassa di consumo, non è prevista alcuna progressività in base al reddito. L’aumento avrebbe dunque inciso pesantemente sulle fasce meno ricche e costrette a percorrere numerosi kilometri al mese, prevalentemente a causa del lavoro – che spesso è ovviamente percepito anch’esso come un’imposizione. La rabbia nei confronti di questa misura ha portato numerose persone in varie parti della Francia ogni sabato per più di un anno a scendere per strada, ad occupare le rotonde – luogo strategico dei flussi automobilistici che sentivano al contempo imposti e vessati – divenute piazze d’incontro e di soggettivazione, a sfilare per le vie di numerose città francesi, a sostenere duri scontri con le forze dell’ordine. Il tutto in un montare di radicalità, espansione numerica e strutturazione di un punto di vista politico.

Senza addentrarci nella ricostruzione dello sviluppo del movimento, in questa sede basti notare che esso nasce dall’antagonismo ad una misura ecologica. Come nota Laurent Jeanpierre, in molt* hanno visto nella protesta dei GJ una rivolta di una parte conservatrice del paese contro una misura ecologica.[1]

Non si può negare che tale misura possa effettivamente avere un ritorno positivo sul livello delle emissioni. Ma il punto non è questo, perché ciò non implica che i GJ siano identificabili come un movimento anti-ecologico. Il contrasto all’aumento della TIPCE infatti non ha aperto la strada ad una rivendicazione alla libertà di consumo, o ad una resistenza all’abbandono delle fonti fossili e del loro mondo. Ha piuttosto coinciso con l’identificazione e conseguentemente il rifiuto del ricatto ecologico neoliberale: l’imposizione di un certo modello di vita (legato in primo luogo al ricatto lavorativo, ma anche alle imposizioni del consumo, delle forme dei rapporti umani, ecc.) largamente insostenibile, che si accompagna al contempo all’imposizione dei costi ecologici di tale modello, prevalentemente in forma economica, su chi da questo modello trae più problemi che benefici. Su chi ha tutto l’interesse a vedere il superamento di questo modello.

Il ricatto ecologico pretende di tamponare le problematiche ecologiche generate dal capitalismo fossile incidendo sulle fasce sociali prive di potere politico o economico, sui territori dai quali si può estrarre valore, sulle popolazioni indigene. Ovvero, su chi è già vessato dal potere capitalista stesso. Il tutto in nome della tutela dell’ambiente, e supportato dalla tecno-scienza che certifica gli effetti benefici di misure classiste come quella contro cui si sono sollevati i GJ – d’altronde, l’ideologia nella cui trama si intesse questo ricatto è stata descritta all’inizio degli anni ’70 da Dario Paccino, proprio negli anni dello shock petrolifero nella cui gestione l’aumento del TIPCE è stato strategicamente fondamentale.[2] Si tratta dunque di una strategia che non prevede la messa in questione dei rapporti di potere, delle forme sociali e di produzione che hanno generato la crisi ecologica, quanto il disperato tentativo di conservarli. I costi della crisi ecologica sono imposti da questa strategia agli stessi soggetti ai quali vengono imposti quelli della crisi economica.

Per l’ecologia politica, i GJ devono essere un punto di riferimento per il coraggio – forse sarebbe meglio dire la necessità – che hanno avuto di rifiutare il punto di vista capitalista sulla crisi, di non cedere al ricatto ecologico. La negazione antagonista di questo punto di vista che si presenta come unico ha aperto, con il tempo e lo sviluppo della lotta e anche grazie alla nascita di un nuovo movimento ambientalista giovanile che contemporaneamente animava le piazze europee, alla costruzione di un punto di vista altro, sempre più strutturato e credibile, che certo non riguardava solo l’ecologia ma che faceva anche di essa un campo di soggettivazione e di conflitto fondamentale.

Molt* si ricorderanno lo slogan “Fine del mondo, fine del mese: stessi colpevoli, stessa lotta”. Non si tratta solo di una riuscita trovata retorica, ma di un vero e proprio punto politico. Quello dei GJ è stato sicuramente un movimento eterogeneo, che non è possibile inquadrare univocamente da un punto di vista ideologico (e tra l’altro ciò è stato un fattore fondamentale di potenza e di espansività); ciò non di meno, la sua storia ha dimostrato la capacità di produrre un soggetto politico al contempo ecologista e anti-capitalista, partendo proprio dal rifiuto di quello che si imponeva come punto di vista unico sulla questione ecologica. Non per astratto spirito ambientalista, ma per posizionamento di classe e spirito d’antagonismo politico. Una convergenza profonda tra il giallo e il verde, per usare un’espressione di Pierre Charbonnier (vedi link in fondo), forse non si è ancora prodotta; tuttavia si è aperta una possibilità, si è prodotta una logica politica e un’esperienza per molti aspetti condivisa.

Oggi la questione del carburante è ancora più impellente che nel 2018. Come sappiamo, le principali fonti energetiche, per motivi diversi tra i quali possiamo annoverare anche le strategie di transizione ecologica, sono schizzate alle stelle poco tempo fa, e si trovano ora in una fase di oscillazione schizofrenica, imprevedibile. Ciò che è prevedibile è che il trend sul medio periodo sarà di forte rialzo. Abbiamo visto concretamente il rischio di un rialzo folle delle bollette, parzialmente rientrato anch’esso. Tuttavia, è prevedibile che le fasce sociali prive di potere politico ed economico vedranno peggiorare le proprie condizioni di vita (anche) in nome della transizione ecologica. Schivando un’idea meccanicista del conflitto sociale, ovvero non cadendo nell’errore di pensare che l’aumento dei costi del carburante o delle fonti energetiche abbia intrinsecamente le potenzialità di uno sviluppo antagonista, ciò che insegnano i GJ è piuttosto che l’ecologia radicale deve mettere al primo posto lo sviluppo di un punto di vista altro dall’ecologia capitalista. Un punto di vista che sia solidale con, e anzi dia il suo contributo alla convergenza di un punto di vista di classe generale, anche a costo di contrastare misure che la tecno-scienza capitalista ritiene strategiche per il contenimento delle emissioni e per la salvaguardia dell’ambiente. A costo di andare contro, dunque, l’ecologia e i suoi dati scientifici. Per un ecologia di classe, con la prospettiva che possa acquisire la stessa credibilità di quella capitalista, con la capacità però di considerare congiuntamente questione sociale e questione ambientale.

Pensiamo che solo questa sia un’ecologia degna di questo nome.

Note:

[1] L. Jeanpierre, In girum, La Découverte, Parigi 2019, p.167.

[2] D. Paccino, L’imbroglio ecologico, Ombrecorte, Perugia 2021.

  • Proponiamo una selezione di contributi per inquadrare il movimento, in ordine sparso:

https://acta.zone/pour-une-gilet-jaunisation-du-mouvement-social/

https://www.dinamopress.it/news/fine-del-mondo-fine-del-mese-la-stessa-cosa-lora-della-convergenza-delle-lotte/

https://www.popoffquotidiano.it/2021/11/17/francia-gilet-gialli-tre-anni-dopoor/

https://quieora.ink/?p=5339

https://blogs.mediapart.fr/p-charbonnier/blog/131218/le-jaune-et-le-vert

https://www.versobooks.com/blogs/4156-a-lesson-in-how-not-to-mitigate-climate-change

https://lundi.am/Tout-brule-deja-ecologie-sans-transition

https://lundi.am/1-an-de-Gilets-jaunes

https://www.infoaut.org/seminari/chi-sono-i-gilets-jaunes

https://www.infoaut.org/approfondimenti/cosa-vogliono-i-gilets-jaunes-il-manifesto-in-40-punti-della-rivolta-francese