Come collettivo di ecologia politica ci siamo schierati da sempre dalla parte del popolo palestinese e per questo prendiamo parte senza esitazione a queste occupazioni.
Per noi la questione climatica e la crisi socio-ecologica in cui ci troviamo non sono qualcosa di astratto, ma qualcosa che viviamo ogni giorno, attraverso lo sfruttamento delle terre, l’accaparramento delle acque, la cementificazione, la messa a profitto dei nostri ecosistemi .
Pensiamo che il primo modo per attaccare questo sistema di sfruttamento sia quello di calarsi sui territori, conoscerli, e mettersi in prima linea per difenderli.
Difendere i territori per noi è l’unico modo effettivo per cogliere la contraddizione ecologica in tutte le sfumature, che non è solo una devastazione ambientale, ma è anche sociale e culturale.
Difendere i territori per noi significa stare dalla parte di chi li conosce, li protegge e non di chi li occupa e li devasta.
Stare dalla parte del popolo palestinese è l’unico modo di frenare questa macchina di devastazione che Israele è il primo a portare avanti. La lotta per la liberazione della Palestina deve essere – ed è – per noi l’emblema dell’opposizione a un sistema ecocida.
Così come l‘ecologia è sempre politica, anche la scienza, la tecnica ei saperi che vengono insegnati nei nostri corsi di studio lo sono.
Occupare le università quindi vuol dire anche prendere parola contro chi ci dice che il sapere che si insegna in esse è neutrale, che non è schierato da nessuna parte, che la cultura è solo cultura e quindi anche di fronte a un genocidio è impensabile sospendere accordi e intese tra Israele, le sue Università, i suoi centri di ricerca e le accademie italiane. La scienza non è neutrale, ma situata e strumentale, sotto l’occupazione israeliana diviene strumento di controllo, di guerra, di accaparramento di risorse, e di pulizia etnica.
Rifiutiamo di vendere le nostre menti, il nostro tempo e il nostro sapere a disposizione degli interessi guerrafondai, genocidi e climaticidi che si nascondono dietro accordi, corsi e master, portati avanti da istituzioni, governi e società di armi e del fossile.
In un contesto in cui i confini tra Università, industria e difesa sono sempre più indistinguibili, perché strettamente interconnessi, rifiutiamo questo modello di istruzione produzione.
Finchè la Palestina sarà occupata, finchè il genocidio sarà in corso, non potremo permetterci di immaginare territori autodeterminati, liberi e in grado di cambiare il sistema socio-ecologico in cui viviamo, che porta siccità, morte e devastazione.
Finchè la Palestina sarà occupata, finchè continueranno ad esserci legami e accordi tra Israele e le Università italiane, il sapere accademico non ci permetterà davvero di costruire e pretendere un futuro migliore, slegato da logiche di profitto, accaparramento e militarizzazione.
Per noi essere ecologisti non vuol dire niente se non si è in grado di prendere una posizione chiara nei confronti del popolo palestinese, della sua lotta e resistenza contro l‘occupazione sionista.
La terra non è quella promessa, la terra è di chi se ne prende cura.
DAL FIUME AL MARE LA PALESTINA SARÀ LIBERA!
credits foto-Nicola Gastini
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